Loro sono qui

La settimana scorsa sono andata nelle Marche, con un’obiettivo: le scarpe per il matrimonio civile (ve ne avevo già parlato qui).
La mia testimone, Chiara, mi ha scorrazzato con infinita pazienza tra Civitanova, Jesi, e hinterland maceratese per trovare Loro: la strada era impervia e piena di distrazioni, da Prada le ho mancate per un numero, da Tod’s si sono travestite da stivali tentatori, da Janet & Janet si sono nascoste in una borsa, finché, indossati un paio di pantaloni di Rebecchi, sono entrata da Santoni, e le ho viste: erano di spalle, le ho prese in mano quasi per caso, le ho osservate, Loro mi hanno guardato e mi hanno detto comprami. Quando le ho indossate, qualche attimo di titubanza: sono scarpe particolari, più scure rispetto a quelle che mi ero immaginata. Ve le presento:

Un passo, due, abbandono i dubbi ed estraggo il bancomat: Loro vengono via con me.
Poi, un’ora dopo, la Visione: Loro hanno fugato tutti i dubbi, hanno ridefinito lo stile del matrimonio civile, Loro mi hanno illuminato la strada verso il parrucchiere (cotonati!), il trucco (nocciola), i fiori (cambiati: ora gerbere bianche e fiori di curcuma in vasi di vetro con nastro di raso marrone).

Loro hanno fatto di me una sposa punk :)

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I testimoni dello sposo

I Testimoni di nozze, perché proprio loro?

Giacomo - quasi come Tom Cruise

Giacomo è anche mio parente, mio cugino (nel senso buono), ma non è quello. Anche in città diverse, siamo cresciuti insieme, sin da piccolissimi, e ho ricordi dell’infanzia in cui lui c’è sempre. C’è nel mio primo ricordo, un’estate, avevo tre anni, e eravamo noi due nella battigia di Porto Istana. Lui non se lo ricorda, perchè sono passate più di due settimane, ma è così. Poi, ha un anno in più di me, ma mi ha fatto la cortesia di rimanere sempre alto come me. Siamo cresciuti insieme. E quando lui avrebbe potuto raggiungere il metro e ottantacinque, mi ha fatto la gentilezza di rimanere al mio uno e settanta, arcuando le gambe in modo da non sorpassarmi. Solo i veri amici fanno cose così. Lui è la persona fra tutte quelle che conosco, che capisce di più. Non tanto che MI capisce, ma proprio che capisce. Dalle scemenze alle cose serie, passando per le supercazzole e le paturnie esistenziali, è una specie di scoglio, di punto di riferimento, di molo che mi dà sicurezza. Diciamo che è un buon ascoltatore, ma non è che basta prestare le orecchie a uno che parla, per quello si pagano gli psicologi. Lui sta ascoltando e capendo. E magari, quando serve, dà pure una mano, così, con leggerezza. Credo che sia la persona più buona che conosco.

Matteo - quasi come Brian May

Matteo l’ho conosciuto all’università, a Bologna, fin dal primo anno. E’ di quella particolare razza mantovana, un po’ emiliani, un po’ lombardi, un po’ veneti, che è riuscita a prendere il meglio da quei tre mondi. Ho capito che era una persona speciale quando gli ho detto “massì, mi ricordo benissimo che sei di Matera”, e lui non mi ha mandato a cagare. O mi ha mandato a cagare, ma con un sorriso. Ancora oggi Matera e Mantova per me sono un po’ la stessa cosa… Egli mi ha introdotto alla musica – “morta nel 1972, con deroga al 1975 per A night at Opera dei Queen” – ma soprattutto ha fatto di me un uomo. Successe all’Osteria dell’Orsa, era il 1995, c’erano anche il suo compagno e amico Andrea Rossi, Francesco e Veronica. Uscivamo dalla proiezione di un Pulp Fiction ancora non ben metabolizzato. E io nei tavolacci dell’osteria cenavo con una capresina, mentre lui mi insegnava che si poteva consumare una ciotola di fagioli con le cotiche. Quella lezione mi sparò fuori da Nuoro, dentro Bologna e dentro il mondo tutto, le possibilità, la voglia di allungare le mani sulle cose. Un po’ scherzo e un bel po’ no. Da lì sono state chiacchiere, progetti, confidenze, boiate. Uno che capisce le cose importanti, non le teme,  le affronta. Che a essere brava gente a parole siamo buoni tutti. Proprio una persona preziosa.


LE RAGIONI DI UNA SCELTA

Hanno accettato di farmi da testimone per ripulirsi la coscienza da quella volta che hanno tentato di uccidermi.

Matteo, quella volta che tornato dall’Inghilterra mi ha raccolto all’aeroporto e m’ha offerto  a casa sua un succo di ananas gelato, in un luglio torrido. Un succo con pezzetti di frutta “così è più saporito” disse. Solo il giorno dopo, studiando la confezione, ho capito che i pezzi di ananas erano la muffa a mucchietti di quello scadutissimo beveraggio.

Giacomo quella volta che mi ha portato a guidare a 17 anni, senza essere mai entrato in macchina dalla parte del volante, per iniziare a imparare. Lui patentato da un anno. Ma soprattutto quella volta, saranno stati dieci anni prima, che mi ha fatto scendere un discesone – con curva – su una Graziella senza freni, che tanto “dopo la discesa c’è la pianura e la bici si ferma da sola”. Ecco, là per davvero vivo per miracolo.

Hanno differenze importanti: L’amore per le Citroen di Giacomo e la fedeltà per la Grande Patria Germania di Matteo con le Volkswagen. Poi il tango per Matteo (disponibile per prenotazione di giri durante la serata) e la discomusic di Giacomo (fare largo in sala durante l’esibizione).

Ma sono simili perché: Non ti risponderanno mai in tempo breve a un messaggio, una mail, una lettera. Magari non ti risponderanno mai. E tifano Juve con tutte le loro corna.

Queste cose, in sé, non sarebbero state sufficienti. Per essere miei testimoni, avevo bisogno che la loro virilità fosse certa e ben documentata. Così, interrogate le rispettive compagne, esse entusiaste mi risposero così:

La femmina è mentitrice

Lindalisa per Matteo e Emanuela per Giacomo


SCHEDA TECNICA

Potreste non riconoscerli nella bolgia della festa
quindi butto giù una veloce guida per distinguerli

Hanno espressioni intelligenti Queste foto non sono state modificate


Sono dotati di spirito artistico
Le attività in foto sono effettivamente accadute


Hanno un presente gajardoLe donne e i peli di queste foto sono reali
E un passato di cui non si vergognano

omioddio

Matteo (a sinistra) e Giacomo (a destra) come vogliamo ricordarli sempre

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Di corsa

Vorremmo avere tempo, tantissimo tempo.
Lo useremmo per dormire di più, e per darci più baci;
per cucinare arrosti di prugne e risotti con la bottarga;
se avessimo più tempo faremmo lunghe passeggiate e telefoneremmo agli amici;
con più tempo, avremmo meno occhiaie, la casa pulita e i gatti in ordine.
Con tanto tempo, questo blog sarebbe aggiornato molto più spesso.
E invece il lavoro ci liscia le lancette dell’orologio e le scioglie a suo piacimento, la macchina si rompe e andare a lavoro in Brianza è come viaggiare fino a Macerata; stampa questo e rifinisci quello, distribuisci le partecipazioni, chiama il parrucchiere e fai le prove (e smonta l’impalcatura che ti fa); chiacchera con l’amica di abiti, pensa all’addio al nubilato.
Stringi il vestito, scegli le scarpe, pensa alle calze.
Studia per la riunione, compila il file, mantieni il sorriso e non scendere dai tacchi.

Io avrei voglia di una birra sul tetto sotto le stelle, di lucciole e di odore di erba bagnata; vorrei fare un bagno caldo, e rimanere con l’asciugamano addosso per tutto il pomeriggio, e farmi le unghie e le sopracciglia e sfogliare un giornale; vorrei andare al cinema e abbagliarmi di immagini; leggere Colson Whitehead, Lilin, Vargas Losa; vorrei avere la testa tra le nuvole, sempre.
Sono troppo pigra per essere così organizzata, accidenti!
E dovremmo avere pomeriggi interi in cui stare stretti e intrecciati, in cui goderci noi e i preparativi, e dovremmo scegliere insieme le fedi, i fiori, il tempo.

Sopravviviamo, belli innamorati e intensi, stanchi da far paura ma emozionati, sempre.

E poi, mancano 39 giorni (al 1°matrimonio).

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Le buste delle partecipazioni

Evviva, abbiamo le buste! Ci siamo fatti da noi le partecipazioni (e il tableau, la bomboniera, le girandole, i menu) ma per le buste che le conterranno abbiamo pensato di rivolgerci all’industria locale.

Grande fu il rammarico quando scoprimmo che Pisotti [sempre sia lodato] non assortiva il nostro formato, e C’Art ha fallito lasciandoci senza fornitori. Cosa ci restava? Chi ci avrebbe fornito più di cento buste di formato atipico, di colorazione non sgargiante ma nemmeno candida, entro 3-4 giorni? Mentre Mariachiara partiva in modalità isterica verso il centrocittà a osservare serrande abbassate e scaffali polverosi, io – che credo ancora alle favole – mi sono rivolto a Milàn-coeur-in-man…
Mi ricordavo di una vecchia ossigenata, senzaltro indigena, dall’antipatia leggendaria, con un negozio vetusto come a Nuoro non ce ne sono più da quando facevo le elementari, che avrebbe potuto risolverci il problema.

” ‘Giorno.. ehm… ehi siete già aperti…”
“Abbiamo aperto oggi.”
“Oh… eh… bene. Ascolti, avrei bisogno di molte buste, solo buste, che contengano un 11 per 14″
“Che formato strano. Ecco qua. Vanno bene. Quante ne vuole?”
“No, proprio bianche… Non ce le avrebbe avorio, o non so, altro… Ce ne servono più di cento, sono per delle partec…”
“Avevo già bello che capito, devo andare di là. Lei stia qua.”
La signora, segaligna, malvagia e impossibilitata al sorriso si introduce in un paio di cassetti  antichi e ne esce con un mazzetto di buste color avorio.

“Eh, belle proprio, grazie!”
“Aspetti. Le misuro… Mhm, vanno bene. Ne ho quaranta, vanno bene?”
“Veramente…”
“Vado di là e vedo se ce n’è altre. Lei aspetti qua.”

Nel mentre entra una cliente, che si innamora delle mie buste. “Ah che belle! Non le fanno più, buste così. Sono di carta da legno, non le fanno più con la carta da legno, sa?”  “Ah no?” “No no, oggi… ma guarda, hanno l’interno foderato in marrone, come quelle del mio matrimonio, nel ’68…”
“Proprio quelle sono” ci informa la signora di ritorno con un altro pacchetto di buste.
“Con queste facciamo 95, bastano?”
“Cioè, sì… Però… Non è che può ordinarne qualcunaltra… eh? eh?”
“Non ha sentito la signora? Non le fanno più queste buste. Manco simili.”

Insomma, abbiamo le buste vintage. Buste bellissime, belle al tatto, alla vista, rifinite, nei bordi e nelle chiusure, eleganti e in numero sufficiente. Perché la crudele megera con gli occhi al cielo ha raggiunto qualche altro antro del suo retrobottega e me ne ha procurato ancora una ventina. E alla fine mi ha pure fatto uno sconto.Sarà stata la grande magia del matrimonio, sarà stata la forza di un cuore palpitante, sarà stato il mio corpo scultoreo, ma abbiamo domato l’indomabile Cerbero. Abbiamo trovato le nostre buste d’epoca, e abbiamo già pensato a come abbellirle ulteriormente. Ma questa, permetteteci, è una sorpresa…
[Qui sotto la foto per dimostrare che questo sito è gestito da due sghignazzoni]

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Maricler in Brideland


Per moltissimi anni, fino ai ventiquattro – venticinque, le mie notti sono state segnate da incubi ricorrenti: sempre gli stessi sogni, con meccaniche simili, e risvegli uguali.
Alla fine, ci fai l’abitudine: cresci e capisci il perché di certi sogni, certe ansie ti diventano familiari, così come le loro manifestazioni. Impari a localizzare e circoscrivere l’angoscia, o almeno a sminuirla non dando tanto peso al modo in cui prende forma durante il giorno o la notte: ok, è solo lo stesso incubo, il perché lo conosco, passiamo al caffè.
Basta non affezionarsi ai propri incubi, non lasciarli macerare troppo durante la veglia, basta che non siano loro a raccontarti, e metà del malessere è già curato.
Poi questi incubi sono andati via, da soli.
Ho una fervente attività onirica: durante la notte chiacchero, urlo, mi muovo, ma non ho più avuto risvegli segnati dallo stesso sogno.

Ora, gli incubi ricorrenti sono tornati, ma sono incubi da sposa: ohibò, mi trovo in Brideland.
Brideland è (al pari di Wonderland, dove va a spasso la cara Alice) una terra bizzarra popolata da strani personaggi e oscuri accadimenti: in Brideland le spose arrivano all’altare senza fedi, si addormentano durante la cerimonia, vedono il boquet sfiorire tra le mani, e siamo certi che prima o poi il Cappellaio Matto avvelenerà il tè delle cinque.
E io, che durante il giorno sono dotata di un ferreo meccanismo di autocontrollo che mi tiene in piedi sui tacchi, sempre cortese, con i nervi distesi, spesso gentile, di notte mi smarrisco in Brideland e non so come uscirne.
Con gli incubi ricorrenti, conosci la causa, la razionalizzi, e te ne fai una ragione.
Qui, devo ammettere che sono solo una sposa che sta spalancando le porte all’isteria, ed è una roba che pensavo appartenesse solo alla letteratura, o alle rubriche tipo Sposa Oggi (ma domani no?): da lucida, provo a ragionarci, e so che non c’è nulla che possa andare così storto da rovinarmi quella giornata. Ma il mio inconscio non la pensa così, e la mattina mi risveglio con una dose di incredulità che se mi offrissero Humpty Dumpty a colazione ringrazierei e chiederei della polvere di stelle per insaporirlo.

E voi, anche voi avete fatto una passeggiata a Brideland?

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